Ritorno al Ramo Fossile di Sinistra

di Alberto e Guido Rossetto, tratto da Speleologia Veneta vol. 17 – 2009

1980, un anno ormai lontano dove i ricordi si perdono nelle nebbie della memoria e tendono ad affievolirsi come la luce di una candela. Ma un fatto nuovo, come una luce che si accende improvvisa in una stanza buia e rischiara quello che ci circonda è venuto a rischiarare e sollevare quel velo di amnesia accumulato negli anni, e i ricordi, le sensazioni, le emozioni, i rumori e i silenzi riemergono prima lentamente poi man mano sempre più prepotenti dal pantano dell’oblio.
Era da alcuni anni che aspettavo questo momento. Con un velo di celata impazienza speravo da tempo che Sandro decidesse per una uscita in “Rana” al “Fossile di Sinistra”. Perché proprio con Sandro? Qualunque altro amico del GSM non avrebbe avuto per me la stessa importanza.
Tutto cominciò nel giugno 2005 quando io, novello scopritore delle potenzialità di internet inserii in un motore di ricerca, tanto per provare, la parola “Buso della Rana”. Mi si aprì davanti un mondo che non conoscevo, fatto di fotografie, di racconti, di schede tecniche e soprattutto di rilievi in pianta e in sezione. Ah ecco, la “Rana” che tanto avevo frequentato molti anni prima, e quasi dimenticato, era fatta così: un dedalo intricatissimo che prima non potevo nemmeno immaginare.
Dopo un’intera notte passata davanti al computer a leggere e guardare foto della “Rana”, mia moglie, scesa dal letto alle sei del mattino e trovatomi ancora alzato mi disse solamente: “Ti te si proprio semo!”, richiuse quasi sbattendo la porta dell’ufficio e se ne tornò a letto.
Dopo questa “notte brava” impugnai carta e penna, (ops, tastiera e mouse) e scrissi una e-mail al Sig. “webmaster del Buso della Rana”, impersonato da Sandro Sedran, dove raccontavo le mie esperienze di giovane speleologo e di come, assieme a mio fratello Guido, fossimo stati i primi ad esplorare il Ramo Fossile di Sinistra. Fu questa la molla per farmi tornare a praticare la speleologia, non più come esploratore, ma nel ruolo più tranquillo di membro di una squadra fotografica.
E finalmente arrivò anche la domenica programmata per far ritorno al tanto sospirato Ramo Fossile di Sinistra: l’emozione è tale che non sento minimamente il gelo che ci avvolge mentre ci cambiamo. Pile, cordura, led? Come cambiano i tempi! Una volta eravamo attrezzati con casco da roccia, maglione di lana, tuta da meccanico, anfibi da paracadutista, imbragatura da montagna ed un paio di cordini per la ferrata sul lago di Caronte. Solo negli ultimi tempi, dei bruciatori ad acetilene autocostruiti andarono a sostituire le torce Superpila (quelle piatte in lamiera con una batteria da 4,5 Volt) con due batterie di scorta ed una decina di candele perché, non si sa mai, “le pile possono sempre finire”.
Il percorso fino alla “Sala Pasa” si svolge spedito, grazie alla nuova scaletta posta nella “Saletta Nera”; trent’anni fa non era così, bisognava deviare per la “Sala da pranzo” per poi impantanarsi nei saliscendi del “Ramo Morto”, estenuanti soprattutto al ritorno. Anche l’accesso a “Sala Pasa” è ora velocissimo; anche li, una volta, bisognava trovare il passaggio tra i massi contorcendoci come lombrichi nel famoso passaggio della “chiocciola”.
Eravamo speleologi indipendenti e, nella nostra ingenuità ed ignoranza in merito, ci eravamo prefissati di esplorare tutta la Rana visitando tutte le diramazioni che incontravamo “tenendo la sinistra” e tralasciando quelle dove serviva attrezzatura di progressione verticale. Ecco che ci eravamo fatti tutti i rami “Principale”, “Trevisiol” ed arrivati nel tratto iniziale dell’Attivo di Destra.
Nella “Sala Pasa” sostiamo per fare alcune foto: ora che questo grande ambiente è ben illuminato dai fari, c’è tutto il tempo per osservare con attenzione molte cose che normalmente sfuggono al passaggio rapido. Alcuni blocchi dello spessore di almeno un metro sono appesi al soffitto e non si capisce come riescano a stare su mentre io, non senza qualche timore, ci sono sotto e “pennello” la luce per la foto.
Ancora una veloce progressione sul “Laminatoio Asciutto”, svolta a sinistra, “Camino dell’incidente”, trivio, ancora sinistra su per il “Ramo delle Cascate” e finalmente l’imbocco del tanto agognato “Ramo Fossile”. Poco oltre la ripida salita, il ramo torna orizzontale e ricordo che le tracce calpestate erano molto poche e poi finivano del tutto. Ad un certo punto la galleria era sbarrata da una frana e apparentemente finiva li, ma sulla destra, in una breve diramazione, c’era un buco di circa mezzo metro di diametro che saliva più o meno parallelo alla galleria tappata dalla frana. Era ostruito da alcuni massi isolati che facemmo facilmente rotolare verso l’inizio del cunicolo e finalmente sbucammo fuori oltre la frana.

Ora ci trovavamo in una galleria nera abbastanza ampia con il fondo ricoperto di fango vergine e nerissimo che al nostro calpestare diventava rossastro. Avemmo subito la sensazione di trovarci in un posto dove non era mai arrivato nessuno, l’entusiasmo e l’euforia ci faceva sembrare ubriachi, la stanchezza scomparve.

Gli ambienti sono cambiati rispetto a quelle prime volte di quasi trent’anni or sono. Il passaggio degli speleo, anche se apparentemente non molti, ha inevitabilmente cambiato l’aspetto di questi luoghi. Sono spariti il velo nero sul fango e le concrezioni a forma di cavolfiore che ricoprivano il pavimento; per fortuna, quelle sulle pareti, si sono conservate integre e numerose.

Nella “Saletta Bianca” abbiamo sostato per alcune foto ad una colata di “glassa al cioccolato al latte” e poi abbiamo proseguito fino al pozzo “Thutankamen”: magnifico, credo sia il più bel pozzo di tutta la Rana. L’emozione di quella prima volta non era ingiustificata solo che adesso, con le luci che abbiamo a disposizione, è tutta un’altra cosa; finalmente posso vederlo nella sua interezza. Nella parete di fronte, in alto oltre la gola, si vedono dei buchi, una galleria orizzontale tagliata longitudinalmente dall’erosione del pozzo. Chissà se mai qualcuno ci è arrivato e se la galleria, non visibile oltre la curva, prosegue fino a chissà quali paradisi nascosti. La vecchia “Rana” non ha mai lesinato le sue sorprese e sono convinto che ne ha ancora molte da svelare per gli speleologi di oggi e di domani.
Dopo qualche problema di orientamento, passiamo una prima salita di tre metri, molto scivolosi, aiutandoci l’un l’altro alla buona, ma la salita successiva, di quasi cinque metri con pareti lisce, quasi ci convince a tornare indietro; “passaggi di arrampicata non assicurati, ma siamo matti”? E’ mezza vita che aspetto questo momento: lascio gli altri a discutere e senza esitazioni mi arrampico in contrapposizione, agile come un ragno, e raggiungo il culmine. Creiamo una catena con tutti i nostri pedali ed ecco pronta la corda di sicurezza.

Una strettoia e finalmente la “Sala Rossetti”! Non immaginate quanta emozione ed orgoglio aver scoperto che questa sala (viste le dimensioni, sarebbe più corretto chiamarla sgabuzzino) è stata dedicata a Guido ed Alberto Rossetto (i “Rossetti” per l’appunto); questo sicuramente grazie alla targa in acciaio inox, ancora lucida e pulita, che avevamo messo dopo la nostra esplorazione. Ci siamo pentiti di averci scritto sopra anche “CAI PADOVA”: quando riferimmo della scoperta ci trattarono con sufficienza dicendo che nella “Rana” ci andava talmente tanta gente che ormai non c’era più niente da scoprire e che per la presenza del fango fossile basta una piena per cancellare tutte le impronte. Insomma : merito e riconoscenza zero!

Nonostante le due brevi scalate per giungere fino a qui siano di pochi metri, l’impresa non è stata facile a causa del fango che rende scivoloso qualsiasi appiglio e mi sorprende pensare che io e Guido siamo arrivati in un posto così remoto e sconosciuto, senza attrezzatura. Non oso pensare cosa sarebbe successo se uno dei due avesse avuto un incidente, anche se minimo.
Dopo un paio di foto ricordo, io, Sandro, Donato e Gianluca, ma nel mio cuore c’era anche mio fratello Guido, ci siamo incamminati verso il ritorno.

Saletta terminale nel Ramo Fossile di Sinistra (da sx: Alberto Rossetto, scopritore, Sandro Sedran, Gianluca Niero e Donato Bordignon)

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