Nel
1923 alcuni soci del C.A.I. di Arzignano, durante una gita escursionistica alla
grotta, affascinati dalla sua vastità, decisero di iniziare un'attività
di esplorazione cavernicola. Animatore entusiasta di questo primo movimento
speleologico vicentino, fu il rag. B. Fracasso che nel 1926 fondò il
Gruppo Grotte C.A.I. di Arzignano.
Il Buso della Rana ne divenne subito il principale campo di esplorazione. I
primi tentativi per oltrepassare il sifone non ebbero successo; la possibilità
di superarlo si affacciò negli anni successivi quando il Comune di Monte
di Malo, per iniziativa del cav. A. Marchioro, intraprese dei lavori per incanalare
le acque del torrente ad uso del locale acquedotto. Gli speleologi seguirono
i lavori, trovando nel cav. Marchioro comprensione e sostegno. Venne finalmente
il giorno in cui il soffitto di roccia del Sifone fu visto emergere millimetro
per millimetro, finché il pelo dell'acqua si abbassò tanto da
lasciare un vuoto di circa venti centimetri,
Nel giugno 1933, il sig. P. Antoniazzi di Malo, visto il piccolo spiraglio che
avrebbe permesso il transito, si inoltrò da solo quasi completamente
immerso nel Sifone, arrivando così nella Sala che fu detta poi "
della Colonna ". Alla luce della pila vide il " Lago di Caronte ",
sulla riva del quale rinvenne i resti di una scala di legno, che era servita
quarantasei anni prima al Castellani. Pochi giorni dopo l'Antoniazzi cogli amici
di Malo A. Pernigotto e G. Marchioro, superò con un rudimentale attrezzo
di legno il Lago di Caronte, giungendo al Trivio e di lì, proseguendo
per il Ramo delle Marmitte, fino ad una " stretta fessura ". Il 19
luglio successivo, gli speleologi di Arzignano B. Fracasso, C. Molon e B. Serafini,
si spinsero lungo il Ramo Principale, arrivando fino alla Cascata. Due giorni
dopo l'Antoniazzi, con altri amici di Malo e colla collaborazione dei locali
Vigili del Fuoco, percorse probabilmente il Ramo Attivo di Destra.
Il 27 agosto 1933 giunsero per primi all'Androne Terminale del Ramo Principale.
La spedizione era composta da B. Fracasso, C. Molon, B. Serafini di Arzignano,
e da A. Antoniazzi, G. Marchioro e A. Pernigotto di Malo. Una targa di bronzo
ricorda tuttora, sul fondo dell'Androne Terminale, la spedizione.
Ecco come B. Fracasso descrive gli eventi con un articolo apparso sulla "Vedetta Fascista" del 10-11 novembre 1933:
Gli
esploratori del "BUSO DELLA RANA" hanno colto una ambita palma nell'affascinante
campo delle ricerche speleologiche: essi hanno rivelato la più vasta
cavità sotterranea della Venezia Euganea. Dai risultati delle ultime
spedizioni è accertato che la grotta ha uno sviluppo complessivo di oltre
quattromila metri. Rimane da completare ancora l'esplorazione di due importanti
rami e di numerosi altri minori. Quando ogni recesso della "Rana"
sarà raggiunto, avremo certo sorpassato la cospiqua somma di cinque chilometri
complessivi. Miglior successo non poteva certo arridere.
Per la valorizzazione turistica della grotta, è possibile aprire al pubblico
senza forti spese, l'accesso ai primi quattrocento metri di galleria. La visita
alla parte, ulteriore , che è senza dubbio la più interessante,
richiede da parte del turista e dello studioso un certo spirito sportivo.
Il rilievo topografico del complesso sistema della "RANA" è
in corso a cura del camerata Carlo Molon del Gruppo Speleologico il quale ha
partecipato a tutte le spedizioni. Il rilievo è a bussola e misure convenzionali,
sarebbe stato impossibile nel tempo avuto a disposizione prendere misure esatte:
risulterà quindi assai sommario; esso permetterà tuttavia di farsi
un concetto abbastanza chiaro dell'imponente sviluppo del "BUSO DELLA RANA"
.
Una monografia completa di schizzi e fotografie verrà pubblicata sulla
pregiata rivista "Le Grotte d'Italia" dell'Istituto Italiano di Speleologia
delle RR. Grotte Demaniali di Postumia ed è appunto a tale Istituto voluto
e potenziato dal Regime che noi abbiamo attinto il più valido incoraggiamento
a persistere nella nostra dura opera di ricerche.
L'incognita del sifone del "BUSO DILLA RANA" è finalmente svelato
ed un grande passo è stato cosi compiuto verso il completo riconoscimento
della grotta grazie alla appassionata opera del Cav. Antonio Marchioro Podestà
di Monte di Malo con l'aiuto del quale gli Arzignanesi del Gruppo Speleologico
del C.A.I. hanno condotto dal luglio all'ottobre dell'anno X , una attiva campagna
d'indagine. I lavori per rendere accessibile la grotta sono stati genialmente
intrapresi e condotti dal Cavalier Marchioro ed eseguiti da una ottima squadra
di operai che, lavorando per alcune giornate in condizioni di forte disagio,
ha lanciato ardite passerelle sopra lunghi specchi d'acqua, ha costruito sentieri,
ha spianato in taluni punti il fondo ed ha scavato infine dei canalini per lo
scarico dei laghetti allo scopo di abbassare quanto possibile il livello dell'acqua
del sifone. Compiuti i lavori , gli esploratori hanno potuto guadagnare agevolmente
la sala del sifone, risparmiando i noiosi guadi consueti , con molto vantaggio
di tempo e con maggior possibilità di trasportare il sempre complesso
attrezzamento necessario in una spedizione di qualche importanza .
Sulle orme dei primi , a lavori compiuti, la grande galleria iniziale della
grotta è divenuta meta quotidiana di visitatori provenienti dai dintorni
e di numerosi turisti di fuori , e , gli affari sono affari , anche una bancherella
di cocomeri ha fatto la sua breve comparsa nel vasto salone d'ingresso della
grotta. La valorizzazione turistica è , come si vede , iniziata.
Il problema del sifone , impostato
dagli Arzignanesi fin dal lontano ottobre del 1923 , quando una piccola comitiva
del C.A.I. ha raggiunto , in condizioni sfavorevoli di acque , il laghetto terminale
, è stato finalmente risolto in modo molto brillante , mediante cioè
l'artificiale abbassamento del livello dell'acqua , reso possibile dagli accaniti
lavori favoriti dal periodo di magra verificatosi.
Ogni altra soluzione sarebbe stata forse impossibile. Aprire il varco mediante
il brillamento di mine , come in un primo tempo era stato progettato , senza
conoscere , nemmeno approssimativamente lo spessore della cortina che si abbassa
a formare il sifone , avrebbe significato incappare in un serio ostacolo.
La muraglia , di fatti , ha uno spessore di circa sei metri e la fede e la tenacia
non avrebbero di certo prevalso nella dura impresa. Ora invece riconosciuto
il sifone dai due lati , si presenta come attuabile con relativa facilità
, l'apertura di un passaggio sulla destra orografica del corso d'acqua. La cortina
è qui di minore spessore che altrove e per di più assai fessurata.
Questo lavoro sarà necessario quando si vorrà mantenere in permanenza
il collegamento della grotta oltre il sifone.
L'emozione provata nel varcare il passo tanto sospirato non è facilmente
tanto dimenticabile , anche perché le speranze più rosee hanno
avuto il loro più lieto coronamento. La grotta continua con proporzioni
anche più vaste formando subito un ampio vano decorato da due grosse
colonne l'una stalattitica l'altra stalagmitica.
Troviamo due lunghi pali di castagno fradici, e pensiamo che se essi sono stati
gettati dall'esterno nella caverna devono aver pure percorso dei larghi vani
e che quindi anche a noi potrà essere agevole la marcia verso l'ignoto.
Più tardi incontreremo anche dei relitti di una scala e alla nostra uscita
il Cav. Marchioro ci spiega che cinquantanni or sono una comitiva di Malo ,
dei componenti di cui non soppravive ora che un certo Castellan , più
che settantenne , approfittando di una magra eccezionale , che ha quasi completamente
asciugata la grotta si è spinta per un buon tratto in avanti, certo non
oltre gli stretti cunicoli che noi abbiamo dovuto forzare rimovendo solide rocce
ed abbattendo numerose stalattiti.
La cosa comunque si è risaputa ad esplorazione compiuta e nessun scritto
esistente , né informazione precedentemente assunta recavano cenno dell'avvenuta
esplorazione.
Oltre il primo vano; la galleria si addentra in direzione O-N-O , lungo una
ventina di metri. II traghetto di questo specchio d'acqua , serrato fra due
liscie pareti convergenti superiormente fino a formare una stretta fessura ,
non è stata facile impresa. Esclusa la possibilità del guado a
causa della considerevole profondita dell'acqua , si tentò di ricorrere
alle più strane imbarcazioni improvvisate , ma si finì poi col
sovrapporre un rustico canotto ad una lunga zattera compiendo così felicemente
il passaggio. La galleria, di sempre più vaste proporzioni , ha una lunghezza
di 250 metri ed è spesso ingombra di enormi massi. Al suo termine , due
rami si dipartono , l'uno in direzione sud ha subito termine, l'altro in direzione
nord prosegue a forma di cunicolo alto due metri e per oltre un metro in altezza
occupato da un corso costante d'acqua. Noi abbiamo esplorato quest'ultimo ramo
solo per un centinaio di metri, ma il ventun agosto alcuni arditi giovani di
Malo si sono spinti lungo il cunicolo per circa 2.000 metri incontrando , a
quanto riferiscono, cavità di vaste proporzioni e numerose diramazioni.
Noi abbandoniamo per il momento i rami laterali per spingerci lungo il ramo
centrale il cui ingresso è costituito da una bassa volta , certo sommersa
ordinariamente dall'acqua.
II corso d'acqua sotterraneo che noi risaliamo con una certa emozione e lungo
il quale noi orientiamo la nostra marcia, predenta gli aspetti più svariati.
Scorre or rettilineo ed ora tortuoso , con tutte le caratteristiche di un torrente
, se non che il suo corso viene regolato dalla direzione delle fessurazioni
proprie dei calcari e la sua ampiezza è dovuta alla diversa compattezza
degli strati.
L'acqua in certi punti , scava assai profondamente il suo percorso lasciando
copioso sedimento di ghiaie e di limo, il certi altri scorre sotto basse volte
liscie piatte, gorgoglia fra ciclopiche cataste di massi in ampi vani ovvero
sembra stagnare in laghetti, profondi e limpidissimi. All'altezza di una grande
frana di marne sabbiose , l'acqua ha abbandonato evidentemente l'antico corso
ora ostruito per aprirsi a viva forza un varco nella roccia ai piedi della slavina.
Al laghetto della cascata , raggiunto nella spedizione del 19 agosto, la grotta
muta completamente di aspetto.
Superato sotto una gelida doccia lo strapiombo della cascata si entra in un
cunicolo tortuoso , talora assai stretto, ma alto quasi costantemente sei metri.
Le acque stillanti e le acque irruenti, che danno vita a questi meandri fantastici,
hanno profuso in questo tratto di grotta dei veri gioielli di squisita fattura.
Ampi festoni di concrezioni scendono a drappeggiare le pareti del corridoio
con tanta ricchezza che è quasi un dispiacere doverla sciupare per aprirci
il cammino. Più originale spettacolo offre tutta l'azione che chiameremo
meccanica delle acque che defluiscono turbinose lungo il cunicolo durante le
piene. Si tratta di una bellissima serie di marmitte di varia grandezza , scavate
nella roccia compatta , da un tenace lavoro , a foggia di leggiadre vaschette
circolari alquanto profonde e levigate e disposte in una successione di cascatelle
di meraviglioso effetto. Il fenomeno è senza dubbio , a mio giudizio,
dei più belli del suo tipo.
Esso è dovuto al fatto che ciottoli e rocce dure, come i quarzi frequentemente
incontrati , travolti dall'acqua in un movimento vorticoso, sfregano contro
la roccia del fondo più tenera , la corrodono scavando cavità
di forma cilindrica, generalmente con il fondo concavo, che vengono indicate
col nome di marmitte o caldaie dei giganti. Lungo lo stretto cunicolo delle
stalattiti continuiamo frattanto a salire finché perveniamo alla base
di una imponente rovina di massi che occupa il fondo fortemente inclinato di
due vastissime cavità, la cui volta a forma di cupola alla sommità,
declina quindi lungo la colata.
Dal Nord scende nella grande caverna un lungo scoscendimento di detriti calcareo
argillosi provocato dalle infiltrazioni d'acqua che hanno compromesso la stabilità
di un terreno così poco coerente. Proviamo a risalire il ripidissimo
androne , ma dobbiamo rinunciare parche il terreno è troppo infido. Ad
ovest la grotta continua e riprende le sue caratteristiche , vale a dire, essa
prosegue ascendendo con abbondanti cristallizazioni. Ritroviamo qui il ruscello
che avevamo perduto di vista fra la catasta dei massi.
Per proseguire, dobbiamo compiere un duro lavoro lungo il rigagnolo, spostiamo
e leviamo alcuni grossi detriti saldamente cementati al suolo , abbattiamo numerose
piccole stalattiti e stalagmiti e strisciando bocconi per una quindicina di
metri usciamo in una galleria che prosegue da prima a sud ovest e quindi in
direzione ovest. Attraversiamo ancora grandi cavità in gombre di grossi
catasti di massi guadagnando sempre quota. Percorriamo una lunga galleria ,
anche questa ascendente e abbandoniamo alla nostra destra un importante ramo
e proseguiamo verso ovest-sud-ovest. Il terreno che attraversiamo è dal
punto di vista geologico assai vario , marne e calcari marnosi si alternano
a basalti e tufi basaltici , più oltre entriamo nei banchi di calcare
compatto nel cui seno la plurisecolare azione chimico meccanica delle acque
ha scavato dei pozzi grandiosi alla cui base noi perveniamo strisciando lungo
uno strettissimo cunicolo. Il vano in cui noi ci ritroviamo tutti riuniti ha
la forma di un tronco di cono, dal quale non riusciamo però ad individuare
la sommità, nonostante i nostri sforzi per illuminarne quanto più
possibile la volta. Sembra tuttavia che il soffitto della caverna sfumi verso
l'alto sino a formare dalle canne, dalle quali precipita, nei periodi di più
notevole attività della grotta, l'acqua della cui opera noi vediamo le
tracce evidenti sulla crosta di fango dissecato del fondo. L'acqua raggiunge
durante le piene dei livelli considerevoli nella grotta, noi ne notiamo chiaramente
il segno sulle pareti.
Il cunicolo lungo il quale noi siamo pervenuti alla grotta , prosegue ma molto
infossato, ai piedi della parte Nord; si addentra in direzione ovest e si restringe
dopo una decina di metri in modo da non permettere di proseguire. Più
oltre non si passa.
Facendo un sommario bilancio, calcoliamo di aver percolo circa duemila metri
in direzione ovest e di aver guadagnato oltre 150 metri sulla quota dall'ingresso
del "BUSO DELLA RANA" Siamo in marcia da otto ore ed ancora due ne
dovremo impiegare per guadagnare l'uscita.
Prima di abbandonare il grande vano terminale , conficchiamo nella parete della
grotta un chiodo da roccia a cui assicuriamo una targhetta di metallo recante
l'emblema del Fascio Littorio e la leggenda: " A. XI 27/8 - Gruppo Speleologico
C.A.I. Arzignano "
Non senza una certa emozione togliamo lo sguardo dalle vaste pareti della caverna
per infilare nuovamente carponi lo stretto cunicolo sulla via del ritorno.